Lo sguardo interiore ci trascina in uno spazio indeterminato, esteso ovunque, prima e dopo di noi. La stessa nostra stessa identità, prosciugata e trasfigurata, e il nostro sé esclusivo si aprono all’indeterminato processo generativo. Negli abissali meandri biologici si addensa il gioco del futuro possibile. Il saturo blu e dominante si addensa attorno, mentre affiorano vaghe e nitide figure antropomorfe. La potenza creativa delle sinapsi traccia percorsi imprevedibili, circuiti organici irradiano la propria energia nell’illimitato profondo.
Viene da lontano la leggenda di Babele, dove le voci dispersero la lingua originaria dell'Eden. Le VOCIdel CORPO la rende presente convocando la sua immagine più nota, la Babele di Pieter Bruegel, dove piccoli uomini si affannanoper ottemperare il velleitario e folle ordine del re: che il potere dell'uomo raggiunga il cielo. Di fronte si erge cristallino il corpo dell'uomo, che affonda nella terra e si erge al cielo oltre la torre.Innumerevoli raggi di luce proiettati dalla torre lo attraversano, quasi chiamati dal gesto delle mani che lo aprono per liberarne le innumerevoli voci.
Piccoli dettagli, quasi dissimulati nella varietà delle forme di Bruegel, suggeriscono i poteri che ambiscono a dire la verità unica, l'unica parola, il fine supremo per cui di sangue è macchiato il manto del re. VOCIdel CORPO dialoga col mito e ne nutre l'attuale potenza allegorica. Il pensiero visivo di Grazia Zattarin colloquia, nello stile a lei caro e così prossimo alla calligrafica nitidezza della pittura nederlandese della Rinascenza, con la visione tragica della condizione umana della pittura di Bruegel; nella proliferazione delle lingue vede la liberazione del molteplice dall'Uno, dall'idolatria per la parola assoluta che sola dice il nome vero delle cose. VOCI del CORPO riscatta la caduta della torre facendo della deriva linguistica che ne è all'origine, della proliferazione di culture, lo scioglimento delle forze dalla soggezione alla verità assoluta, pretesa dal re, un valore.
Attraverso la pittura si esercita l’osservazione ma il vedere non è un risultato scontato. Vedere è un dono. In TAKEN PLACE come il titolo indica, la visione è quello che il nostro tempo apre alla nostra vista che da interiore svela la forma del reale non più apparente. Il demone della guerra possiede il soldato, lo guida nell’azione e ne strappa il cuore. Legioni di Angeli guerrieri giungono portando cura elevazione compassione.
Il territorio della battaglia è prima di tutto dentro al soldato e dentro ognuno di noi.
Il dinamismo pittorico non vuole soltanto enfatizzare l’azione nel suo manifestarsi ma suggerire uno stato della materia fisica che diviene instabile e meno densa nell’attimo in cui la percezione del reale viene modificata da un altro sentire.